In un articolo pubblicato su questo sito il 20 marzo, intitolato “L’ignavia dell’occidente ed il totalitarismo teocratico”, ci si soffermava su come l’Occidente ha sottovalutato o finto di non sentire i coloriti proclami di Khomeini che perorava “l’esportazione della rivoluzione” e “la cancellazione di Israele dalla carta geografica”, portando tutto il medio oriente e non solo, verso una guerra totale con il coinvolgimento diretto degli Americani e dei loro alleati.
Nel presente articolo, partendo dalla vicenda specifica riguardante il dottor Ahmadreza Jalali e l’ultimo vergognoso scambio tra il governo svedese e il regime, si cerca di mettere in luce la prassi consolidata della Repubblica Islamica di prendere in ostaggio cittadini occidentali o cittadini iraniani con doppio passaporto, per usarli come pedine di scambio con gli agenti del regime coinvolti negli attentati contro gli esponenti dell’opposizione in esilio o per ottenere riscatti o contropartite di altra natura dai paesi occidentali. Anche in quest’ambito, in nome della “realpolitik” per consolidare il proprio consenso elettorale e per arginare la costante crescita degli avversari populisti o di estrema destra nei rispettivi paesi, l’ignavia e l’arrendevolezza dell’Occidente premia ancora una volta la cinica strategia del do ut des. Una condotta politica incentrata sulla valutazione di interessi e obiettivi immediati, la cui realizzazione prescinde da giudizi etici e morali facendo male anche a sé stessi.
La Repubblica Islamica fin dalla sua nascita ha avviato e, mano a mano consolidato, la prassi di prendere in ostaggio cittadini occidentali o cittadini iraniani con doppio passaporto per usarli come pedine di scambio per ottenere riscatti o contropartite di altra natura. È successo con gli Americani, col Regno Unito, col Belgio, la Svezia e altri paesi.
Nello stesso anno della sua nascita la “Repubblica Islamica” esordisce sulla scena internazionale con l’assalto all’ambasciata USA a Tehran e la presa in ostaggio di 52 americani: per oltre 440 giorni si è consumato il più colossale atto di terrorismo di stato islamico, oltreché la più plateale violazione del diritto internazionale.
È così che la Repubblica Islamica, ormai da decenni, arresta persone con doppio passaporto, locale e occidentale, apparentemente con pretesti assurdi e grotteschi, trattenendole per lunghi anni in prigione come ostaggi per ottenere in cambio contropartite politiche, economiche o giudiziarie.
Così è stato, il 18 settembre 2023, per cinque cittadini Americani di origine iraniana detenuti per lunghi anni in Iran con accuse inesistenti, con cinque iraniani accusati di reati di violazione delle sanzioni verso l’Iran, scambiati con la mediazione di Qatar: cinque prigionieri da un lato, cinque dall’altro, portati nello stesso luogo e stesso momento per uno scambio, mentre sei miliardi di dollari dell’Iran congelati in Corea del sud, venivano versati su alcuni conti bancari della Repubblica Islamica col benestare del presidente Biden e la concessione di deroga sulle sanzioni americane firmata da Blinken, Segretario di Stato. Come nei film e nei romanzi, gli scambi di prigionieri durante la guerra fredda avvenivano a Berlino, in Germania, mentre in questo caso tutto è successo a Doha, in Qatar, e i prigionieri sono statunitensi e iraniani.
Così è stato per quanto riguarda Nazanin Zaghari-Ratcliffe e Anoosheh Ashoori, tornati nel Regno Unito dall’Iran il 16 marzo 2022, dopo rispettivamente sei e cinque anni di privazione della libertà e dopo che il governo di Londra aveva pagato 393,8 milioni di sterline per saldare una disputa decennale su un debito contratto a seguito di una mancata fornitura di armi degli anni Settanta.
Così è stato per Olivier Vandecasteele, operatore umanitario che lavorava in Iran per la onlus “Relief International”, arrestato nel 2022 con il pretesto di spionaggio e condannato a 40 anni di carcere, scambiato il 26 maggio 2023 con Assadollah Assadi, diplomatico dell’ambasciata iraniana in Austria, arrestato in flagranza il 4 febbraio 2021 in Belgio mentre consegnava a tre terroristi la bomba destinata a fare strage a Parigi in una riunione di un gruppo di opposizione.
Rimane ancora però un nutrito stuolo di innocenti con passaporto occidentale, ostaggi nelle carceri in attesa di occasioni propizie per il regime per essere scambiati: gli austriaci-iraniani Kamran Ghaderi e Massud Mossaheb, i tedeschi-iraniani Nahid Taghavi e Jamshid Sharmahd e i britannici-iraniani Mehran Raoof e Morad Tahbaz.
Ahmadreza Jalali
Il caso più noto ed emblematico è quello di Ahmadreza Jalali, medico e docente iraniano con cittadinanza svedese, arrestato senza un valido motivo su ordine del Ministero dell’Intelligence e della sicurezza nel mese di aprile del 2016 mentre si trovava in Iran su invito delle Università di Tehran e Shiraz. La sua illegale detenzione ha ormai superato gli otto anni, oltre tremila giorni.
Attività accademiche
Il dottor Ahmad Reza Jalali ha lavorato in diverse università europee, tra cui l’istituto Karolinska e l’Università degli studi del Piemonte Orientale, presso la quale ha sviluppato il suo programma di dottorato. Ha collaborato inoltre con varie università iraniane, saudite e statunitensi. In Italia ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione del Centro di Ricerca in Emergenza e Disastro dell’Università degli studi del Piemonte Orientale (CRIMEDIM), partecipando ad un progetto che valutava il livello di preparazione degli ospedali in situazioni di emergenza. Alcuni studi pubblicati, di cui è coautore, hanno esaminato la prontezza degli ospedali in caso di terremoti, conflitti, emergenze chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari (CBRN) e massicci afflussi di pazienti ai pronto soccorso. Uno studio del 2016 ha esaminato il livello di preparazione dei dipartimenti di emergenza degli ospedali italiani valutando la base di conoscenza dei medici sulla pianificazione e sulle procedure di base in caso di catastrofi.
Arresto, reclusione e condanna a morte
Per dieci giorni dopo l’arresto, la sua famiglia non è stata informata del luogo della sua detenzione. Dopo essere stato trattenuto in un luogo sconosciuto per circa una settimana, è stato trasferito nella sezione 209 della prigione di Evin, dove è stato detenuto per altri sette mesi. Durante le telefonate fatte alla sua famiglia, il dottor Jalali ha detto di essere stato tenuto in isolamento per tre mesi ed in isolamento parziale nei mesi successivi.
Il 31 gennaio 2017, dopo nove mesi di detenzione, il dottor Jalali è stato trasferito nella sezione 15 del tribunale rivoluzionario di Teheran, dove, nonostante la mancanza di prove, è stato ufficialmente accusato di spionaggio. Inoltre, in questo processo gli è stato comunicato che avrebbe potuto essere condannato a morte. Al suo avvocato non è stato permesso di essere presente all’udienza e gli è stato negato l’accesso ai fascicoli del caso.
Dopo mesi di ingiustificata detenzione, il 21 ottobre 2017 è stato condannato a morte con l’accusa di “corruzione sulla terra” (ifsad fil-arz) ed è stato incarcerato nella prigione di Evin. Nel novembre 2017 il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, ha chiesto formalmente al governo iraniano di fornire informazioni dettagliate sulla sua detenzione, senza ricevere risposta. Alla fine del 2018, una TV di Stato iraniana l’ha presentato come spia mostrando la sua presunta confessione che, secondo il dottor Jalali, consisteva in un testo scritto in precedenza. Il dottore è stato costretto a leggerlo su minaccia di rappresaglie nei confronti dei suoi parenti. Il suo avvocato ha tentato di presentare ricorsi per la revisione giudiziaria della sentenza, ma sono stati tutti respinti e l’ultimo è apparentemente ancora in sospeso.
Il 29 luglio 2019, il dottor Jalali è stato nuovamente trasferito dalla prigione di Evin ad un luogo sconosciuto. Lì, è stato gravemente torturato e minacciato di esecuzione di condanna a morte.
Condizioni di salute
Le condizioni di salute del dottor Jalali sono peggiorate fin dal suo primo arresto. In particolare, gli esami del sangue eseguiti nel 2018 hanno rilevato un basso numero di globuli bianchi. All’inizio del 2019 è stato visitato da un medico presso la prigione di Evin, il quale ha consigliato di farlo visitare da uno specialista in ematologia, richiesta respinta. Inoltre, gli esami di follow-up raccomandati, non sono mai stati effettuati e dal momento del suo arresto ha perso 24 kg. La World Medical Association ha ripreso il suo caso e il suo presidente, Ketan Desai, ha scritto alle autorità iraniane affermando che le condizioni in cui Jalali è detenuto violano l’etica medica e la legge sui diritti umani.
Pressione internazionale
Le Nazioni Unite attraverso le loro varie istituzioni si sono espresse più volte sul caso del dott. Jalali. Nel novembre 2017, il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite ha chiesto formalmente al governo iraniano di fornire informazioni dettagliate sulla sua detenzione, ma anche in questo caso non è stata fornita alcuna risposta. Inoltre, il 9 febbraio 2018 gli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite hanno chiesto con urgenza all’Iran di revocare la sua condanna a morte.
Nel rapporto annuale del 2020 dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e nei rapporti dell’Ufficio dell’Alto Commissario e del Segretario generale, si afferma che “vi sono preoccupazioni persistenti sulla situazione dei cittadini con doppia nazionalità e stranieri che rimangono imprigionati nella Repubblica Islamica dell’Iran… Il cittadino iraniano-svedese Ahmadreza Jalali, condannato a morte nell’ottobre 2017 con l’accusa di spionaggio, sarebbe stato trasferito il 29 luglio 2019 in una località sconosciuta per circa 10 giorni prima di essere ricondotto alla prigione di Evin. Durante quel periodo, è stato costretto a confessare “ulteriori colpe”.
Premi Nobel
Nel dicembre 2018, centoventuno premi Nobel hanno scritto una lettera aperta al leader supremo iraniano Ayatollah Khamenei per chiedere assistenza medica e rilascio per il professor Jalali.
Parlamento europeo
Nel 2019 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che chiedeva il rilascio di Jalali e di altri quattro cittadini dell’UE detenuti. I deputati hanno chiesto l’immediata liberazione di tutti i cittadini con doppia cittadinanza UE-iraniana.
Amnesty International
Amnesty International sin dall’inizio ha seguito costantemente il caso e ha raccolto informazioni sulle condizioni di vita e di salute del dott. Jalali, in particolare sulle condizioni disumane in cui Jalali ha vissuto durante la sua prigionia.
Dal 2017 ha lanciato una petizione pubblica per sottoporla all’ufficio della guida suprema iraniana, al presidente dell’Iran e al giudice capo dell’Iran (Capo della magistratura), per chiedere l’immediata liberazione di Jalali e un intervento medico per la sua salute, al fine di garantire la sua sicurezza e permettergli di avere contatti con il suo avvocato e la sua famiglia, e di incontrare il console svedese.
Università europee
Il 31 ottobre 2017, l’Università degli studi del Piemonte, l’Università Karolinska e la Vrije Universiteit Brussel hanno inviato una lettera al capo della magistratura iraniana, Sadegh Larijani, chiedendo l’immediata scarcerazione del dottor Jalali. Nella lettera le università hanno ricordato l’ottima reputazione del dottor Jalali e il diritto alla libertà di espressione.
La condanna a morte come strumento di pressione
Senza dubbio, poiché lo hanno ammesso le autorità iraniane, la condanna a morte del dott. Jalali è diventata uno strumento di pressione e ricatto nei confronti della Svezia, dove l’ex funzionario giudiziario iraniano Hamid Nouri, arrestato all’aeroporto di Stoccolma nel novembre 2019, è stato successivamente condannato all’ergastolo per crimini contro l’umanità dal Tribunale Svedese.
C’erano voluti anni di sforzi della diaspora iraniana per attirare Nouri in Svezia, c’erano volute le coraggiose testimonianze dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime, c’erano voluti oltre due anni di processo e dispendio di oltre 7 milioni di euro per l’organizzazione del processo prima di arrivare alla sentenza definitiva.
Salvare dal carcere svedese Hamid Nouri, il procuratore della prigione di Gohardasht di Karaj, condannato per coinvolgimento nelle esecuzioni di massa di circa 5.000 prigionieri politici era di vitale importanza per il regime di Tehran: lasciare marcire in quella prigione la memoria vivente dei criminali avvenimenti, poteva demoralizzare tutti gli esecutori della macchina repressiva e soprattutto rischiava il cedimento dello stesso Nouri che avrebbe potuto svelare i segreti inenarrabili del più orribile massacro di prigionieri nella storia del regime.
Premiando ancora una volta la cinica strategia iraniana del do ut des, sabato scorso (15 giugno) lo scambio è stato portato a termine: Nouri è stato accolto trionfalmente a Teheran, mentre a Stoccolma hanno fatto rientro il funzionario dell’Unione europea Johan Floderus, che rischiava l’ergastolo per “spionaggio”, e Saeed Azizi, condannato a cinque anni per “collusione contro la sicurezza nazionale” e gravemente malato.
Se prendere in ostaggio i cittadini occidentali o con doppia cittadinanza per ricattare governi stranieri al fine di ottenere laute contropartite, per il regime di Tehran è una prassi congenita, sembra che anche per i governi occidentali trattare la liberazione degli ostaggi, previa concessione di generose contropartite, stia diventando uno strumento per consolidare il proprio consenso elettorale e per arginare la costante crescita degli avversari populisti o di estrema destra nei rispettivi paesi.
Una volta optato per restare al gioco del regime a scapito della giustizia e a trattare lo scambio dei prigionieri, pur avendo il Governo svedese in mano un’importante carta come Nouri, non si capisce perché il dott. Jalali sul quale pende una condanna capitale, sia stato escluso dallo scambio stesso. Ovviamente felici per la liberazione dei due prigionieri svedesi, l’eccessiva arrendevolezza del governo svedese per aver lasciato il dott. Jalali in prigione e in balia dell’imminente esecuzione, resta un’ombra vergognosa.
Indifferenza dell’Italia
“Resta da capire perché, in Italia, di Ahmadreza Jajali non freghi praticamente niente a nessuno. Il nostro paese si è mobilitato, per fortuna, per uno studente egiziano che aveva studiato qualche mese all’Università di Bologna. Jalali, per anni ha lavorato a Novara presso l’Università del Piemonte orientale, contribuendo allo sviluppo della ricerca scientifica”. Domanda posta da Riccardo Noury portavoce di Amnesty International sul Corriere.it del 18 giugno 2024.
Con l’eccezione di pochi giornalisti e organi di informazione che contribuendo insieme ad Amnesty International ha dato voce al caso di Ahmadreza ed eco alla sofferenza della moglie e dei due figli, il dramma di Jalali non ha mai colpito i cuori dei parlamentari e delle istituzioni governative nazionali.
“La domanda senza risposta è: perché? Cosa c’è sotto? Quali relazioni non pubbliche e inconfessabili tra Italia e Iran impediscono di fare pressioni adeguate?” continua Riccardo Noury nell’articolo citato.
Reza Rashidy, giornalista, scrittore, attivista iraniano per i diritti umani
Immagine di copertina
Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano arrestato nel 2016 a Teheran con l’accusa di essere una spia, in una foto pubblicata da freeahmadreza – Ansa