L’ignavia dell’occidente ed il totalitarismo teocratico, di Reza Rashidy

IL CONTESTO

Il Medio Oriente in passato culla della civiltà, è oggi intrappolato da guerre, da terrorismo e da fondamentalismi religiosi.  

Milioni di persone, donne, uomini e bambini inermi, quotidianamente subiscono le tragiche conseguenze imposte dai cinici calcoli geopolitici delle grandi potenze e dei regimi dittatoriali locali.

Da oltre settant’anni un irrisolto conflitto e un’ingiustizia crescente e stratificata incombono su un popolo grazie anche all’indifferenza e all’incondizionato sostegno finanziario e militare dell’occidente, a prescindere dalla condotta aggressiva ed espansionistica di una parte e in barba a decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu.  

Per di più, da oltre 44 anni il Medio Oriente è infestato dalla presenza di un regime totalitario e teocratico che, in nome della “repubblica islamica”, oltre a fomentare la guerra e il terrorismo in loco, tiene in ostaggio un intero popolo di 86 milioni di persone. 

COINCIDENZE PERICOLOSE

Le parole come terrorismo islamico, jihad, guerra santa entrano nel lessico quotidiano solo a partire dalla rivoluzione Khomeinista nel febbraio del 1979. L’esportazione della rivoluzione in tutti i paesi islamici e la fobia nei confronti dell’Occidente diventano il dibattito strategico che esalta e occupa il nocciolo della ideologia del regime. 

Nello stesso anno la “Repubblica Islamica” esordisce sulla scena internazionale con l’assalto all’ambasciata USA a Tehran e la presa in ostaggio di 52 americani: per oltre 440 giorni si è consumato il più colossale atto di terrorismo di stato islamico, oltreché la più plateale violazione del diritto internazionale.

Nel 1988 si costituisce Alqaeda e pochi anni dopo ISIS o Daesh, versione sunnita del terrorismo teocratico.

Nell’estate del 1988 nella totale indifferenza del mondo avviene la più terribile esecuzione collettiva di migliaia di prigionieri politici: le stime vanno da 8000 a 30000. 

Il 14 febbraio del 1989 l’ayatollah Khomeini leader politico e religioso supremo dell’Iran annunciò la condanna a morte dello scrittore di origine indiana Salman Rushdie, stabilendo una taglia milionaria per chi l’avesse ucciso.

Consiglio della Rivoluzione Islamica – Da sinistra Mehdi Bazargan, Mohammad-Reza, Mahdavi Kani, Yadollah Sahabi, Ali Khamenei, Abolhassan Banisadr (Capo del consiglio), Hassan Habibi, Abdul-Karim Mousavi Ardebili, 1 nov 1980 (Wikimedia Commons)

BARATRO OLTRE I LIMITI

L’Occidente avrebbe sottovalutato o finto di non sentire i coloriti proclami di Khomeini che perorava “l’esportazione della rivoluzione” nei paesi islamici. Valutare i bellicosi proclami di Khomeini come gesti folcloristici ad uso e consumo interno, ci ha portato diritti verso le tenebre e il baratro in cui ci troviamo oggi: il trionfo dell’esportazione della rivoluzione Islamica in medio oriente consente al regime di ammettere pubblicamente di “dominare quattro importanti capitali del Medio-Oriente: Damasco, Baghdad, Beyrut e Saana”. Con uno spregiudicato uso di risorse finanziarie, il regime ha prodotto migliaia di missili balistici e droni micidiali in grado di minacciare i paesi vicini e di bucare i sistemi di difesa antiaerea. Inoltre ora, con la produzione di decine di chilogrammi di uranio arricchito al massimo grado, ostenta di essere sulla soglia della produzione di decine di testate nucleari con il conseguente ingresso nel club atomico mondiale per blindarsi di fronte ad ogni reazione di un nemico immaginario o reale. Forse nessuno immaginava che lo sgangherato regime dei chierici, dopo tanti anni di embargo occidentale, potesse trasformarsi all’occorrenza in fornitore di missili, droni e consiglieri della seconda potenza militare del mondo, la Russia di Putin, suo alleato strategico.

TOTALITARISMO TEOCRATICO

Il regime totalitario in versione teocratica non è un semplice regime dittatoriale che si limita ad ottenere l’obbedienza assoluta dei cittadini, ma mira a conquistarne l’anima, a convertirli a una “religione” di cui essi devono diventare i fedeli. Ma vedendo respinto il suo tentativo di convertire il popolo alla “propria religione”, il regime ha dichiarato guerra al suo popolo.

Guerra e totalitarismo sono due facce di una stessa medaglia, la potenza distruttiva di entrambe é terrificante: una con il fuoco devastante e tangibile di missili, bombardamenti e droni, l’altra con l’incarcerazione di massa, con torture fisiche e psicologiche, con diffuse pratiche di stupro sulle donne in prigione, con il ricorso quotidiano alla pena capitale annientando uomini, donne e bambini “infedeli”. 

La malvagità sconfinata delle guerre e del totalitarismo non si limita alle aree in cui esse hanno origine, ma stende la sua ombra nefasta sull’intera umanità.

Lottare per la pace e contro il totalitarismo non è soltanto il dovere dei popoli sottomessi ma riguarda tutti i paesi democratici del mondo. Con l’indifferenza, il cinismo e l’ignavia verso la brutalità delle guerre e del totalitarismo, in un mondo interdipendente e globalizzato come il nostro, i paesi democratici fanno del male anche a sé stessi.

Flag of Iran (iStock)

I COSTI IMPOSTI DAL TERRRORISMO

Il mondo, Europa inclusa, da decenni sta pagando e continua a pagare un duro scotto nell’affrontare le tragiche conseguenze del terrorismo e dell’integralismo religioso. 

In un solo anno, nel 2016, secondo il rapporto Europol sul terrorismo, sono stati compiuti 13 attentati attribuiti a gruppi jihadisti con 135 morti. Bisognerebbe aggiungere alle vittime del terrorismo le decine di cittadini Europei catturati dal terrorismo islamico nei paesi mediorientali, decapitati oppure liberati previe trattative e pagamento di lauti riscatti ai terroristi stessi.

Ma i costi del terrorismo non si limitano al numero delle vittime: gli USA e la coalizione globale anti Daesh/ISIS hanno supportato con decine di miliardi di dollari la lunga campagna contro il califfato di Abubacar al Baghdadi. Oltre 28.000 civili uccisi dall’ISIS e 11.800 civili uccisi da circa 7000 attacchi aerei della coalizione.

A tutto ciò va ancora aggiunto il decuplicarsi delle spese per rafforzare le misure di prevenzione e lotta al terrorismo in tutti i paesi Europei, risorse sottratte al benessere dei propri cittadini.

Il diffuso senso di paura e insicurezza dei cittadini europei ha favorito lo spostamento dell’equilibrio sicurezza/libertà e diritti umani, a favore della prima, costituendo un altro non irrilevante scotto che l’Europa sta continuando a pagare.

LA RIVOLUZIONE “DONNA VITA LIBERTÀ”

Sono ormai trascorsi quasi diciotto mesi dalla morte di Mahsa (Jina) Amini (16 settembre 2022), la ragazza ventiduenne barbaramente assassinata a seguito delle violente percosse subite dalla famigerata polizia morale…  

Una tragedia che ha scosso l’intero Paese e ha fatto esplodere una rabbia stratificata e assopita da 43 anni di terrore e violenze inflitte dal regime teocratico, dando così avvio alla prima rivoluzione dell’era moderna. Una rivoluzione culturale, sociale e politica tuttora in corso che pone al suo centro la donna e viene sintetizzata con la cifra potente, inclusiva e trasversale “donna-vita-libertà”. 

Una rivoluzione che non ha nessuna rivendicazione economica, che non bersaglia i governanti, ma che punta direttamente al centro del sistema teocratico esigendo quei diritti basilari, altrove giudicati scontati e banali, come la libertà di poter festeggiare un compleanno, di viaggiare con chi si ama, di passeggiare mano nella mano senza paura di essere fermati, di vestirsi liberamente, di cantare e amare, la libertà di avere una vita normale e dignitosa.

Foto di Arturas Kokorevas (Pexels)

LE RADICI DELLA RIVOLUZIONE

La rivoluzione non nasce dal nulla, ma affonda le sue radici in due secoli di lotte delle donne; la storia dell’Iran è costellata da una moltitudine di movimenti e associazioni femminili, spesso clandestine e represse tragicamente. La prima martire per il riscatto delle donne è stata Tahereh, poetessa e teologa iraniana, che fu impiccata nell’agosto del 1852 per ordine della corte reale e degli alti chierici per le sue idee e per aver esposto i suoi capelli senza velo.

Alle radici storiche dei movimenti femminili si sovrappongono il recente salto del livello di istruzione, la consapevolezza di genere, i processi di globalizzazione e diffusione di internet e la dura resistenza delle donne alla misoginia del regime islamico durante i 44 anni del potere teocratico.

Tutti si sentono oppressi dal regime, ma le donne sono doppiamente gravate dal peso delle discriminazioni e ancor più le minoranze etniche e religiose. La protesta delle donne non è rivolta solo contro il regime, ma anche contro le discriminazioni che sono costrette a subire nella società, in famiglia e nella vita quotidiana.

La rivoluzione ‘Donna vita libertà’ rispecchia esattamente i brutali incubi stratificatisi in 44 anni.

DISOBBEDIENZA CIVILE E RIVOLUZIONE IN DIVENIRE

Malgrado il silenzio mediatico internazionale e l’accentuarsi della spietata repressione, la determinazione delle donne a liberarsi dal giogo della tirannia non é stata scalfita: dopo mesi di protesta di piazza, la lotta si è trasformata in un possente movimento di disobbedienza civile. Ormai da mesi le donne si presentano in massa e in silenzio negli spazi pubblici senza hejab, sfidando apertamente le leggi arbitrarie dello stato islamico. 

Di rimando, la macchina repressiva, di fronte alla compattezza e al coraggio delle donne, volendo evitare il rischio di un corpo a corpo, ha attivato centinaia di migliaia di “telecamere intelligenti” nei luoghi pubblici, minacciando vendette esemplari per i trasgressori della morale pubblica attraverso riconoscimenti facciali.

Negli ultimi mesi sono stati inviati milioni di avvisi agli utenti e si é provveduto alla chiusura forzata di migliaia di esercizi pubblici e grossi centri commerciali che hanno “tollerato” l’ingresso di donne senza velo

Amnesty International nel suo rapporto del 6 marzo 2024 conferma che “alle donne senza velo viene ora negato l’accesso ai trasporti pubblici, agli aeroporti e ai servizi bancari in Iran. Le forze dell’ordine controllano la lunghezza e la vestibilità di maniche, pantaloni e uniformi. Le donne vengono spesso maltrattate verbalmente, insultate o minacciate di essere denunciate”.

Sempre secondo il rapporto menzionato “Nel bieco tentativo di spegnere la resistenza al velo obbligatorio sulla scia del movimento ‘Donna Vita Libertà’, le autorità iraniane stanno terrorizzando le donne e le ragazze, sottoponendole a sorveglianza e controlli costanti, interrompendo la loro vita quotidiana e causando loro un immenso disagio mentale. Le loro dure tattiche spaziano dal fermare per strada le donne che guidano, alla confisca di massa dei loro veicoli, fino all’imposizione di fustigazioni e pene detentive disumane”.

Sempre di più in Iran le donne vengono perseguitate “per non aver indossato il velo obbligatorio in auto: gli annunci ufficiali indicano che dall’aprile 2023, la Polizia morale iraniana ha ordinato la confisca di centinaia di migliaia di veicoli con conducenti o passeggeri di sesso femminile di età superiore ai nove anni, senza velo o con un velo considerato inappropriato”.

La crescente sfida delle donne ha inferto un ulteriore colpo all’autorità facendo sprofondare il regime in uno stato di profondo smarrimento e confusione.

Foto di Artin Bakhan (Pexels)

NIENTE SARÀ COME PRIMA

Anche se  il regime potesse sopravvivere ancora per un breve periodo grazie al proprio apparato repressivo e al soccorso dei suoi alleati stranieri, il movimento ‘donna, vita libertà’ ha già  ottenuto grandi e irreversibili successi; l’impossibile è avvenuto: basta uno sguardo sulle strade e piazze delle principali città dove milioni di donne senza hejab, ignorando i minacciosi proclami delle autorità, attuano la loro sfida quotidiana sotto gli occhi sconcertati degli agenti impotenti ad arrestare milioni di persone. Il mutamento più straordinario è però l’atteggiamento degli uomini che guardano ora a queste donne con uno sguardo di ammirazione, incoraggiamento e solidarietà. 

Oggi nessuno considera l’obbligo del velo come un precetto religioso o una tradizione culturale, ma un simbolo di apartheid di genere e un mezzo per sottomettere l’intera società.

Ancora una volta le donne sono voce e avanguardia della necessità di cambiamento. La lotta delle donne Iraniane è paragonata a quella di Desmond Tutu e Nelson Mandela, che sconfissero il sistema di apartheid in Sud Africa.

VERDETTO POPOLARE: UN SONORO NO AL TOTALITARISMO

Il regime teocratico ha perso ogni barlume di legittimità interna ed è l’unico regime nel mondo che gode esclusivamente del riconoscimento della legittimità internazionale, unione Europea compresa. 

Lo conferma ancora una volta in modo incontrovertibile l’elezione del parlamento tenutasi il primo marzo 2024. In realtà non si è trattato di elezioni, ma di una scelta tra una rosa di nomi selezionati dal consiglio dei Guardiani, un organo di 12 notabili nominati dal leder supremo. Un parlamento superfluo ed ininfluente, la cui sola votazione è vitale per il regime totalitario perché rappresenta un orpello per la legittimazione interna ed internazionale del regime stesso. Ovviamente la partecipazione delle masse deve essere plebiscitaria, perciò gli appelli alla partecipazione e gli avvertimenti ai disobbedienti sono stati insistenti. Anche la Guida suprema, Ali Khamenei, ha spinto gli iraniani a votare come “atto di resistenza” contro i nemici.  

Narges Mohammadi, Nobel per la pace 2023

Nonostante le minacce e le lusinghe del regime, più di due terzi dei potenziali votanti hanno disertato le urne. Un terzo di coloro che si sono presentati, nel timore di possibili ritorsioni nei propri confronti, ha però votato scheda nulla segnando sulla scheda stessa i nomi dei giovani uccisi durante la rivoluzione “Donna Vita Libertà”. Una elezione che dopo lo scoppio di questa rivoluzione che doveva suggellare la legittimità del regime islamico, si è trasformata invece in uno splendido referendum contro il regime stesso.“Il popolo iraniano smantellerà l’ostruzionismo e il dispotismo attraverso la sua perseveranza. Non abbiate dubbi: questo è certo”, ha dichiarato dal carcere di Evin dove è detenuta dal 2016, Narges Mohammadi, vincitrice del Nobel per la pace 2023.

Reza Rashidy, giornalista e attivista iraniano


Immagine di copertina
Proteste in Iran, foto di Artin Bakhan (Pexels)


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