L’abbraccio,
di Raffaele Vertucci

“Il perdono e l’amore sono rispettivamente il braccio sinistro e il braccio destro di Cristo”
Jòn Kalman Stefànsson, La tua assenza è tenebra (trad. it di Silvia Cosimini, Iperborea, 2022)

Nella settimana che ci accompagna alla Pasqua cristiana sento con grande gioia e impellente esigenza di fare mio questo pensiero:

«Adesso c’è la Settimana Santa; se uno il Giovedì Santo, il Venerdì Santo, il Sabato Santo, la Pasqua, in questi quattro giorni va dentro senza guardare in faccia Cristo e basta, ma con la preoccupazione dei peccati o della perfezione, oppure delle cose da meditarci su, viene fuori stanco e riprende le cose come prima. Guardare in faccia Cristo, invece, cambia. Ma perché cambi, bisogna guardargli in faccia veramente, col desiderio del bene, col desiderio della verità: “Di tutto sono capace Signore, se sto con te che sei la mia forza”; è un tu che domina, non delle cose da rispettare» (Luigi Giussani, Si può vivere così).

La Settimana Santa dispiega a uno a uno i giorni del nostro destino; essi ci vengono incontro lentamente, ognuno generoso di simboli, di segni, di luce. In questa settimana il ritmo dell’anno liturgico rallenta in maniera da poter seguire il Cristo giorno per giorno, quasi ora per ora… e forse la cosa più santa che si può fare è stare con lui; “uomini e donne vanno a Dio nella loro sofferenza, piangono per aiuto, chiedono pane e conforto. Così fan tutti. I cristiani invece stanno vicino a Dio nella sua sofferenza” (D. Bonhoffer). Stanno vicino a un Dio che sulla croce non è più l’onnipotente dei nostri desideri infantili, ma è il Tutto che fa naufragio nella tempesta dell’amore per l’uomo.

Andrea Mantegna, Crocifissione, predella centrale della Pala di San Zeno, 1457-1459 (Wikimedia Commons)

Sono giorni per stare vicino a Dio nella sua sofferenza: la passione di Cristo si consuma ancora nelle infinite croci del mondo dove noi possiamo stare accanto ai crocifissi della storia, lasciarci ferire dalle loro ferite. Provare dolore per il dolore della terra, di Dio, dell’uomo, patire e portare conforto. La croce disorienta, ma se persisto a restarle accanto come le donne, come Maria, a guardarla come il centurione, esperto di morte, una cosa forse la capirò, ovvero che in quella morte vi è il primo segno di un mondo nuovo. Cosa ha visto il centurione per pronunciare, lui pagano, il primo compiuto atto di fede cristiano: “era il Figlio di Dio”? Ha visto un Dio che ama da morire, da morirci… Ha visto il capovolgimento del mondo; Dio che dà la vita anche a chi gli dà la morte, il cui potere è servire anziché asservire, vincere la violenza non con un di più di violenza, ma prendendola su di sé. La croce è l’immagine più pura, più bella. Più alta che Dio ha dato di sé stesso. Sono i giorni che lo rivelano: “per sapere chi sia Dio devo solo inginocchiarmi ai piedi della Croce” (K. Rahner).

E, a un certo punto, immagino allora l’immagine del Crocifisso le cui braccia s’allargano per amare e perdonare… per abbracciare l’uomo… Non per nulla uno dei suoi gesti estremi è stato l’accoglienza di un malfattore che era in croce accanto a lui, come racconta l’evangelista Luca (cfr. G. Ravasi, Il Sole 24 ore, Domenica 17 marzo 2024).

Riproduzione fedele del dipinto “Cristo sulla croce”, di Carl Heinrich Bloch, 1870 (Wikimedia Commons)

Un altro grande scrittore, Jorge L. Borges, che ha cantato questi ultimi istanti del ladrone e di Cristo in una sua poesia, Cristo in Croce, ha scardinato l’iconografia tradizionale e immaginato che quella di Gesù non fosse la croce centrale tra i due condannati, ma la terza, quasi a mostrare la sua umile e ultima fraternità con l’umanità. Un atto di perdono e un segno d’amore lasciati in eredità a chi vuole seguirlo lungo il sentiero d’altura della vita.

Detto ciò, non posso non pensare in questo Tempo a Maria… Non è facile parlare di Maria e dell’“ultimo” Tempo con il suo Figlio… Da una parte non si vuole cadere nella trappola dei dolci semplicismi, dall’altra nemmeno dare per scontato il coraggio con il quale ha svolto il suo compito: la Madre di chi ha creato anche lei stessa. Qual è l’atteggiamento di Maria che, soprattutto negli ultimi mesi, ci può essere d’aiuto? Il suo STABAT.

Lo STABAT MATER di solito rappresenta, nell’iconografia, la Maria sotto la croce. Ma se lo prendiamo come filosofia di vita di qualcuno che la realtà la sa prendere così com’è, lo STABAT diventa un FIAT, un sì pronunciato molte volte di fronte alle circostanze più o meno piacevoli.

Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Tiziano, Mater Dolorosa con le mani aperte, 1555 (Wikimedia Commons)

Non ci succede di voler evitare le imprese di cui non siamo sicuri dei risultati? Un contratto difficile da firmare o una decisione difficile da prendere? Maria non è che non temesse quello che sarebbe accaduto dopo, ma ha detto sì ed è riuscita a stare in piedi di fronte alla proposta più “scandalosa” nella storia dell’umanità.

Dice “sì” prima che veda. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta (Lc 1,39-40).

La difficoltà o la sofferenza dell’altro ci tocca molto di più quando la vediamo. Una spesa da fare per qualcuno che non può muoversi di casa a causa di una malattia, oppure una visita di sabato a qualcuno che non riesce a pulire la propria casa, sommerso dai tanti impegni di lavoro. Un aiuto concreto a qualcuno che si trova in difficoltà è il modo di dire sì, come ha fatto Maria.

Dice “sì” prima che capisca. Sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo” (Lc 2,48).

Qualche volta invece, le situazioni che viviamo sono talmente confuse, che veramente non si riesce a capire niente. A questo proposito, ciascuno potrebbe pensare ad alcuni periodi della vita (simbolicamente i tre giorni della perdita di Gesù) in cui i problemi di vario tipo, invece di risolversi si moltiplicano e sembra che la via d’uscita, da un tunnel scuro, non ci sia. La domanda di Maria sarebbe legittima nella bocca di chi vive una tale confusione su vari fronti. Il non mollare quando niente va è lo STABAT e/o il FIAT.

La grandezza di Maria sta allora nel suo saper stare in piedi anche senza la terra sotto i piedi. Sia per (re)stare, sia per andare.

Raffaele Vertucci, filosofo e docente presso Istituto “M. Alberini” di Lancenigo (TV)

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Immagine di copertina: Andrea Mantegna, La Resurrezione, 1457-1459 (Wikimedia Commons)


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