Antiche e nuove odissee: la migrazione tra passato e presente, di Sara Canzian

“Antiche e nuove odissee: la migrazione tra passato e presente” è il titolo di una conferenza tenuta Martedì 5 Marzo presso il Liceo “G. Marconi” di Conegliano, a cui hanno partecipato due classi dell’indirizzo classico e scientifico, e alcuni ragazzi dell’Istituto “F. Da Collo”. L’evento, organizzato dal gruppo “Stili di vita” della parrocchia di S. Vendemiano, che da tredici anni si occupa di interculturalità coinvolgendo attivamente gli immigrati di qualsiasi provenienza presenti nel territorio trevigiano, è nato dall’idea di riflettere intorno ai temi della migrazione e dell’accoglienza, questioni estremamente attuali, ma presenti nella vita e nella storia dell’umanità fin dalle sue origini. Migrare è infatti una delle prime azioni compiute fin dagli albori della preistoria dai nostri progenitori, che dall’Africa hanno solcato le vie dell’intero pianeta alla ricerca di un luogo in cui vivere una vita migliore. E un migrante è anche uno dei più antichi eroi del mondo occidentale: Ulisse, che per dieci lunghi anni viaggiò attraverso il Mar Mediterraneo prima di riuscire a raggiungere la propria patria. Così come profugo in fuga dalla guerra è Enea, l’eroe dell’Eneide dai cui discendenti avranno origine Roma e la cultura latina.

Alberto Camerotto

In particolare sulla figura di Ulisse si è soffermato l’intervento del professore Alberto Camerotto, docente di Lingua e Letteratura Greca presso l’Università Ca’ Foscari Venezia, che ha ricordato come l’eroe omerico, giunto naufrago e senza più forze e mezzi all’isola di Scheria, sia stato dalla corte reale accolto e ristorato prima ancora che fosse conosciuta la sua identità: il mondo dei Feaci è infatti un luogo utopico e fuori dal tempo, in cui regnano la pace, il buon governo e l’ospitalità verso gli stranieri. Per Omero sono questi gli indici inequivocabili della civiltà. Ed è proprio in onore dello straniero di Itaca che il re Alcinoo indìce i giochi atletici, occasione in cui l’uomo greco può dare prova del proprio valore: al ruolo dello sport come via di accoglienza dello straniero e di incontro con l’altro è stata dedicata la riflessione di Enrico Chies, giovane grecista laureato del Laboratorio di Ricerca Aletheia Ca’ Foscari, che ha dimostrato come l’attività sportiva costituisca, non solo all’interno del mondo omerico, un’occasione di relazione tra due individui, spesso destinata ad esiti costruttivi (ad esempio nel caso del fair play), ma a volte costellata da difficoltà, come avviene quando si considera l’altro non un essere umano, ma un nemico da abbattere o un estraneo contro il quale rivendicare la propria alterità.

Questo è quanto purtroppo tende ad avvenire nel mondo reale quando si parla di emigrazione: oggi la narrazione relativa all’arrivo di migranti nei Paesi occidentali è in genere accompagnata da valutazioni geopolitiche e da freddi dati statistici. Tuttavia, al di là di calcoli economici e numeri ci sono persone, ciascuna animata da proprie passioni, pensieri e ideali: uomini, donne e bambini, soprattutto giovani, che abbandonano la loro terra, i genitori, gli amici e le proprie abitudini per intraprendere un viaggio spesso pericoloso con il fine di cercare altrove un luogo migliore in cui vivere. 

Enrico Chies

È quanto hanno messo in luce le emozionanti testimonianze di Daniel Taut, giovane di origine romena che da anni si dedica all’accoglienza e alla formazione lavorativa dei migranti, e di Ernest Gyamfi, la cui storia appare incredibilmente simile a quella del protagonista del film di Matteo Garrone Io capitano: fuggito dal Ghana con il fratello gemello per non finire nelle mani della criminalità locale, egli si è imbarcato su un sovraffollato pickup lanciato a folle velocità attraverso il deserto; purtroppo durante il viaggio il fratello, sbalzato dall’auto, ha riportato un colpo mortale alla testa, ed è stato abbandonato sul posto nonostante le suppliche di Ernest. Una volta giunto in Libia, egli è diventato schiavo e costretto a lavorare gratuitamente finchè non è riuscito a ottenere la possibilità di imbarcarsi su una delle molte carrette del mare per arrivare al di là del Mediterraneo, a Lampedusa. Attivato il protocollo di accoglienza, è stato quindi trasferito a Vittorio Veneto in un centro per migranti, dove ha incontrato Daniel, volontario presso la struttura, che lo ha aiutato a trovare un impiego, una casa e soprattutto la serenità. Forte della propria esperienza di permanenza all’interno di un centro di accoglienza dove, appena giunto dalla Romania, ha sperimentato in prima persona la precarietà, l’emarginazione e il pregiudizio, Taut infatti dedica tuttora parte della sua vita all’inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro e nella società italiana, attraverso varie attività, quali corsi di saldatura (competenza molto richiesta dalle aziende del territorio) o di lingua italiana e l’insegnamento delle regole locali di convivenza civile. 

Daniel Taut e Ernest Gyamfi

Le parole di Daniel e in particolare quelle, rotte dal pianto, di Ernest hanno così dato un volto e una voce a chi troppo spesso è considerato soltanto un numero o un problema da gestire: l’invito da loro rivolto, in primis quando qualche ragazzo ha chiesto spontaneamente “e noi cosa possiamo fare?”, è stato quello di non giudicare in modo aprioristico una persona, in quanto ognuno ha alle proprie spalle una storia, a volte carica di ostacoli e di sofferenze. E senza dimenticare che anche noi Italiani siamo stati, fino a non molti decenni fa, emigranti, come ha ribadito l’ultima relatrice dell’incontro, la professoressa Paola Schiavon, referente dell’Area 10 Storia e Cultura del Veneto presso l’Ufficio Scolastico Regionale. Il Veneto, infatti, oggi meta di molti immigrati, è stato tra Otto e Novecento terra di emigrazione, inizialmente verso le vicine regioni più ricche o altri Paesi europei, e in seguito nei territori d’Oltreoceano. E se in un primo momento ad andarsene erano gli uomini, alla fine del XX secolo, e in particolare dopo la disfatta di Caporetto, si parla di “profugato femminile” in riferimento alla migrazione di donne venete prevalentemente in Lombardia, dove talvolta trovavano aiuto e solidarietà, ma spesso divenivano oggetto di pregiudizi, violenza e indifferenza. 

Da sinistra Paola Schiavon, Sara Canzian e Alberto Camerotto

È proprio l’indifferenza che questo evento ha cercato di combattere, seguendo un filo rosso tra passato e presente che ha dato centralità all’uomo nella figura sia di chi migra, sia di chi accoglie, per cercare di comprenderne i sentimenti, le speranze, le paure e i sogni che da sempre accompagnano l’emigrante. In un momento storico in cui prevale la diffidenza e la paura nei confronti dell’altro, si alzano muri e si costruiscono trincee di guerra tra i popoli, alterando i principi che da millenni regolano i rapporti tra gli esseri umani, si è voluto dunque mettere al centro l’humanitas, quell’insieme di principi elaborati dal mondo classico in cui l’umanità diventa centro di tutte le cose, e dai quali è nata la cultura occidentale, per affermare la fratellanza e la pace universale illuminate dal Vangelo.

Sara Canzian, docente presso Istituto “M. Alberini” di Lancenigo (TV)

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Immagine di copertina: Salvataggio in mare (Freepik)

Note

  • Alberto Camerotto – Università Ca’ Foscari Venezia;
  • Enrico Chies – Aletheia Ca’Foscari Venezia;
  • Ernest Gyamfi, Daniel Taut e Sara Canzian – gruppo “Stili di vita”
  • Paola Schiavon – referente dell’Area 10 Storia e Cultura del Veneto per U.S.R. Veneto presso U.A.T. di Treviso.

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