Per Grazia Marchianò, pellegrina d’Oriente. Testi di Saverio Simi de Burgis, Leopoldo Siano e Nicola Cisternino (seconda parte)

Introduzione

A un mese dal ritrovamento del corpo di Grazia Marchianò nella sua casa-museo di Montepulciano, morta da alcuni giorni, pubblichiamo divisi in due parti, alcuni contributi di amici che con Grazia hanno avuto incontri e scambi intellettuali significativi, alcuni dei quali sul fronte del suono e della musica, dimensioni a cui Grazia era estremamente sensibile e vicina oltre che della poesia. Da Gianluca Magi filosofo e orientalista, creatore assieme a Franco Battiato del centro interdisciplinare Incognita. Advanced Creativity di cui Grazia Marchianò era direttrice scientifica, al compositore Nicola Sani, attuale direttore artistico dell’Accademia Chigiana di Siena (Prima Parte), a Leopoldo Siano filosofo della musica e ideatore del Theatrum Phonosophicum, al critico e storico dell’arte Saverio Simi De Burgis, al compositore e artista Nicola Cisternino (Seconda Parte)

Testimonianze, un omaggio a Grazia Marchianò

di Saverio Simi de Burgis

Ho conosciuto Grazia Marchianò in occasione del convegno “Forme e correnti dell’esoterismo occidentale”, un convegno tenutosi alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia, nel 2007. Era mancato da qualche anno il suo amato Elémire Zolla, esattamente nel 2002, a Montepulciano, dove avevano scelto di vivere e con il quale ora si è definitivamente ricongiunta essendo venuta a mancare alla vita terrena ormai da poco più di un mese. Sapevo della Marchianò inizialmente come moglie devota a Elémire, quindi soprattutto attraverso le letture zolliane che tanto appassionavano gli amici artisti, in particolare ferraresi e romagnoli dediti alla scultura attraverso il vitale medium della terracotta e curando varie loro esposizioni: Gianni Guidi, Sergio Zanni, Sergio Monari, Giovanni Scardovi, quest’ultimo anche poeta e per vari lustri docente di Plastica Ornamentale all’Accademia di Venezia.

All’epoca con Giovanni condividevo maggiori frequentazioni dentro e fuori l’Istituzione lagunare, dove anch’io insegnavo in quegli anni, ruolo che attualmente continuo a ricoprire. In quei confronti mi resi conto del forte interesse maturato da molti artisti in relazione ai soggetti metafisici ed esoterici trattati da Zolla, benzina che alimentava la nostra creatività artistica, poetica e speculativa. In tal senso provai una crescente maturazione per tali argomentazioni, che riguardavano in particolare concetti apparentemente insondabili come la mistica, l’eterno-infinito dell’essere, le trasformazioni delle materie e la loro alchimia, i connessi valori simbolici, l’energia del pensiero tra meditazione e contemplazione, respirazione, telepatia, aspetti che nella fisica quantistica trovano riscontri nelle teorie collegate alle ricerche sull’energia e sulla velocità della luce.

Una volta conosciuta personalmente Grazia Marchianò, iniziai a sapere di più del suo percorso, della sua attività accademica quale professoressa ordinaria di estetica in varie università italiane. Un punto di riferimento per il ruolo da lei assunto, per un certo periodo, tra gli estetologi italiani e non solo. Lessi alcune sue pubblicazioni, in particolare i suoi studi di orientalistica e di filosofia – vedi il fondamentale “La parola e la forma”, già aperto a una metodologia comparatistica di cui, nel suo ambito disciplinare, la Marchianò è stata precorritrice. Per gli evidenti agganci tra l’estetica e il fare arte, decisi di adottare alcuni suoi contributi nell’ambito dei testi suggeriti per gli approfondimenti bibliografici consigliati agli studenti frequentanti il corso di Storia e metodologia della critica d’arte da me tenuto in accademia.
Grazia, pur negli onerosi più recenti impegni rivolti a trovare una degna collocazione al lascito zolliano – cosa che in ultimo riuscì poi a concretizzare – fu inizialmente molto generosa anche nel mettersi a disposizione di alcuni miei studenti che potevano interpellarla con specifiche richieste per i necessari approfondimenti. Se Zolla, negli studi di storia delle religioni fu per certi versi un prosecutore di René Guénon, Mircea Eliade, Ioan Petru Culianu, facendoci conoscere anche gli illuminanti testi di Pavel Aleksandrovič Florenskij, Grazia, che da giovanissima aveva avuto modo di esplorare la sapiente cultura orientale nei più importanti Ashram indiani e successivamente nei templi buddisti giapponesi, introdusse nella cultura italiana la conoscenza di un altro autore fondamentale del pensiero metafisico – già geologo e quindi, più continuativamente, storico dell’arte  in forza al museo di Boston, sezione dell’arte orientale – quale fu Ananda Kentish Coomaraswamy, che nella duplice origine e conseguente formazione nei suoi studi, in particolare ne Il Grande brivido pubblicato da Adelphi, mise a confronto gli sviluppi della conoscenza erudita occidentale con la via sapienziale del pensiero orientale. Why exhibit works of art, tradotto Come intrepretare un’opera d’arte e introdotto in Italia da Grazia Marchianò, rimane un testo ricco di spunti e considerazioni su quanto poi si è verificato nel contesto dell’arte attuale.

Ma non furono soltanto questi gli aspetti per cui ebbi modo di approfondire la conoscenza di Grazia Marchianò.  Infatti, già qualche anno prima di avere avuto l’occasione di incontrarla personalmente alla Cini, mio padre aveva avuto dei contatti con Elémire Zolla per renderlo partecipe a una delle prime edizioni della Giornata Mondiale della Poesia da lui ideata nel lontano 1989. Avrebbe desiderato un suo coinvolgimento in merito al valore e all’utilità di una poesia religiosa e di una poesia intesa ancora come preghiera. Poi presero piede e sviluppo altre idee e sul tema religioso, il 2 ottobre 1993, nella sede Unesco di piazza San Marco a Venezia da lui direttamente coinvolta nell’iniziativa, decise di dedicare emblematicamente quell’evento alla figura e alla poesia di David Maria Turoldo, venuto a mancare un anno prima, con un intervento in programma, fra gli altri, di Giorgio Lago, all’epoca direttore de “Il Gazzettino”, quotidiano veneziano che patrocinò la V Giornata Mondiale della Poesia.
Tramite la nostra conoscenza del 2007 mio padre poi contattò la Marchianò per confrontarsi su quelle idee in parte condivise con Elémire Zolla, ovviamente prima della sua scomparsa.  Ne sortirono alcune ulteriori edizioni organizzate da “Poesia – 2 ottobre”, associazione fondata e presieduta da mio padre dal 1990. Qui di seguito desidero in particolare ricordare la splendida XX Giornata Mondiale della Poesia dedicata alla poesia indiana, svoltasi il 2 Ottobre 2008 presso l’Istituto di Scienze dell’Uomo di Rimini, con la partecipazione diretta di Grazia e di Gianluca Magi. Grazia Marchianò mise successivamente in contatto mio padre con il Centro studi Francesco Jovine di Guardialfiera nel Molise, dove poi seguirono una serie di ulteriori ricche edizioni della Giornata Mondiale della Poesia, rigorosamente tenutesi il 2 ottobre degli anni successivi. Tra queste una ricca manifestazione fu dedicata alla poesia in lingue alloglotte, albanese arbëreshe e croata, delle storiche comunità minoritarie presenti in quei luoghi. Seguirono, quindi, altre edizioni realizzate sempre grazie all’operosità dell’infaticabile organizzazione e coordinamento di Vincenzo Di Sabato.
Grazia Marchianò che aveva introdotto in Italia Io sono quello di Sri Nisargadatta Maharaj, era consapevole come Zolla del valore della conoscenza del sé e delle proprie origini. In tal senso era vicina all’arte e alla poesia come linguaggio originario, tema caro a mio padre nella sua concezione poetica nei rimandi, però, alla lezione Heideggeriana del suo Logica e linguaggio, avvicinandosi così all’antica sua appartenenza genealogica alla tradizione albanese e all’arte condivisa dal padre Giuseppe, Pino Marchianò, che aveva studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Napoli e in parte dalla madre che si dilettava nella scultura. Strani incroci e destini. Anche il padre di Zolla, Venanzio, era stato un valente pittore uscito dall’Accademia Albertina di Torino; la madre di Elémire, invece, era stata una pianista. 

Zolla, nella cui tomba è identificato semplicemente come “scrittore”, vinse nel 1956, con il romanzo “Minuetto all’inferno”, il premio Strega e prima di sposarsi con Grazia Marchianò era stato unito in matrimonio con Maria Luisa Spaziani, relazione che durò tuttavia pochi anni, e, quindi, ebbe una più duratura storia d’amore con Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini: entrambe prolifiche e note poetesse, anche se molto diverse tra loro, sia nella vita che nella rispettiva produzione poetica. Nei rapporti intellettuali tessuti tra me, mio padre e Grazia Marchianò emergevano anche tali considerazioni di vita che riempiono sicuramente dei tasselli fondamentali per comprendere a pieno le motivazioni speculative di ciascuno.


Concluderei questo ricordo con un intervento da me scritto nel 2008 in occasione della XX Giornata Mondiale della Poesia dedicata alla splendida e illuminante poesia indiana

2 Ottobre 2008. 

La XX Giornata Mondiale della Poesia ebbe luogo presso la Sala degli Archi di Rimini, sede concessa per l’occasione all’Istituto di Scienze dell’Uomo, istituto universitario riminese diretto da Giovanni Ceccarelli, con master in studi orientali e comparativi. Qui hanno insegnato docenti provenienti da varie università italiane, in particolare da Napoli, Bologna, Urbino, Genova, Siena, ma anche da Padova, come nel caso di Giangiorgio Pasqualotto.

La giornata di riflessione sulla poesia indiana si tenne nella consueta ricorrenza del 2 ottobre, festa degli angeli custodi, emblematicamente eletti quali numi tutelari della poesia di ogni tempo e luogo cui tende per finalità statutarie l’associazione veneziana all’epoca alla sua ventesima edizione.Il ricco programma scandì l’evento in due momenti essenziali. Nella prima parte presero la parola, il presidente del sodalizio lagunare Domenico Simi de Burgis, mio padre, che nella prolusione fece un breve riassunto delle precedenti manifestazioni dedicate alla poesia araba in collaborazione con la Facoltà di Lingue Orientali di Ca’ Foscari rappresentata e coordinata dal professor Gianroberto Scarcia, Inuit organizzata assieme all’Istituto Geografico Polare “Silvio Zavatti” di Fermo e con la partecipazione dell’esploratore francese Jean Malaurie recentemente scomparso all’età di 102 anni (Magonza, 22 dicembre 1922 – Dieppe, 5 febbraio 2024), del sud mediterraneo, armena con Antonia Arslan, finlandese, ladina, romena, ungherese, austriaca, dell’area Mitteleuropea, e a degni rappresentanti della poesia quali appunto, nel 1993, David Maria Turoldo, e Mario Luzi, nominato nell’edizione a lui dedicata, nel 1995, quale presidente onorario di “Poesia-2 ottobre”, giornata che fu ospitata a Firenze presso il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Viesseux, nella sala Ferri di palazzo Strozzi, relatore Fabio Russo, docente di Letteratura italiana e di Letteratura comparata all’Università di Trieste. 

Vincenzo Di Sabato con Domenico Simi de Burgis

Subito dopo l’intervento del presidente Simi, che ribadì ulteriormente gli scopi di tali iniziative al di fuori delle usuali kermesse letterarie e artistiche all’epoca già proliferanti nel sistema dell’industria culturale globalizzata, prese la parola Grazia Marchianò, che con una magistrale lezione, da specialista quale è stata nel settore degli studi di orientalistica, si addentrò nell’antica tradizione vedica. La Marchianò si soffermò sui primi quattro Veda, accennando appena al quinto, sul cui carattere iniziatico delegò l’attenzione al successivo relatore. In particolare, il suo intervento entrò nel merito del pregnante significato della poesia arcaica indiana, prima, cioè, che diventasse testo scritto. La studiosa delineò a grandi linee un preciso rimando all’archetipo poetico che in primis è suono, voce e quindi Parola, in sanscrito Vac, alla quale in origine si dava rilevanza di Divinità, e per tali ragioni è naturalmente intuitiva e assume qualità veggenti.

Franco Battiato, Gianluca Magi, Gabriele Mandel “Misticismo d’Oriente e d’Occidente”, 2003 (Wikimedia Commons)

Su questa linea continuò Gianluca Magi, docente di Filosofia Indiana e all’epoca direttore didattico dell’Istituto, sottolineando la valenza sacra, prevalentemente devozionale e basata su una corretta interpretazione dell’idea di sacrificio, elementi caratterizzanti la poesia indiana che non indugia, come noiosamente si è sedimentato nella poesia occidentale, su esternazioni emotive di lamentosa impronta soggettiva, ma trae spunto dall’infinito sentimento provato nei confronti della Divinità, collocandosi in stretto rapporto di continuo stupore e conseguente acquisizione di coscienza, percepita dalla mente che s’inchina al cuore, nei confronti della bellezza riscontrabile a diretto contatto con le meraviglie del cosmo, della natura, delle cose, delle persone e degli animali.
È la stessa Divinità che fa parlare il Poeta e ciò costituisce già in sé il valore di ciò che Magi ha definito la Poesia Bianca, la poesia utile in contrapposizione a quella nera, poesia inutile, che caratterizza il degenerato periodo ancora in atto del Kali Yuga, oggi diramato più o meno dappertutto, India compresa, periodo nero in cui prolifera uno sterile e insignificante protagonismo che miseramente connota la “spettacolare” e avvilente fiera delle vanità. Magi evidenziò, inoltre, la componente magica, esoterica e naturalmente alchemica della tradizione poetica indiana originaria che si colloca di per sé al di fuori della “nostra” più usuale concezione del tempo, legata a troppi luoghi comuni che ne sviliscono ogni più necessaria interpretazione cognitiva. Dopo una pausa in cui gli invitati ebbero modo di gustare gli squisiti cibi indiani cucinati per l’occasione, alle 21.00 si diede avvio alla seconda parte della giornata, questa volta con un appuntamento presso il palazzo del Podestà di Rimini, con un reading di poesie indiane di varie epoche interpretate dalla bravissima Maria Costantini, cui fece seguito un concerto di musica classica, ovviamente indiana, eseguita dagli eccezionali e instancabili Diego Tettamanti al sitar e Fabio Chiari ai tabla, entrambi della Saraswati House di Assisi.   

Saverio Simi de Burgis, critico e storico dell’arte, docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia

Nicola Cisternino, Elémire Zolla e Grazia Marchianò Pellegrini tra Oriente e Occidente, tecniche miste su carta cm. 29,5×42 (2024)

Barì Lùis, Grazia!

di Leopoldo Siano

Essere in costante dialogo con Grazia Marchianò, con il suo modo d’essere, contribuì al verificarsi di certe esperienze spirituali e di pensiero che forse mi sarebbero rimaste precluse. Il nostro rapporto è durato esattamente dieci anni: dal 2014 al 2024. Appena appresa la notizia della morte, interrotto il filo, sono andato a cercare l’ultima sua email, ricevuta poco prima di Pasqua. E poi risalendo pian piano la corrente, mi sono immerso nella nostra abbondante corrispondenza: circa 200 lettere. Uno scambio nato sotto la stella di Marius Schneider, colui che Elèmire Zolla considerò essere suo unico maestro. Nella prefazione a Il significato della musica Zolla lo chiamò ‘conoscitore di segreti”. E proprio così Grazia volle intitolare il suo libro su Zolla. Grazia teneva molto a Marius Schneider e usava parlarne sempre con devozione. Lo aveva anche conosciuto di persona, con Zolla gli fece visita a Marquartstein sul principiare degli anni Ottanta. 

Grazia molto si interessò alle nostre attività ‘phonosophiche’, e nell’estate del 2015 – quando trascorsi una settimana intera nella casa di Schneider a Marquartstein, ospite della vedova Birgit –, lo scambio si intensificò per cercare di pubblicare la Kosmogonie, la voluminosa opera (tuttora) inedita dello studioso alsaziano. In quel periodo, a Colonia, stavo tenendo lezioni su Giacinto Scelsi. Il 3 novembre 2015 Grazia mi scrisse: “Terrei moltissimo a leggere qualcosa sulla nascita della musica ‘da una nota sola’ perché intuisco vicinanze con la questione del ‘doppio’, dell’immagine come ‘duplicazione’, e connessi dualismi (abramici) occidentali. È un problema cruciale […]. La radice indo-europea di ‘immagine’ è yem, ‘tenere assieme’, ‘appaiare’, donde il sanscrito yamah, ‘gemello’, norreno hymir, e i latini geminusimago, imitare. […] Schneider ha indagato sul suono unico primordiale, e molto della sofferenza umana, esplorata con una sottigliezza inaudita dal buddhismo filosofico, dipende dalla separazione. Gli abramici restano dualisti, i non tali tendono alla riconquista almeno immaginale dell’unità, con ginnastiche dialettiche acrobatiche, come i platonici sufi di Persia ‘inventori’ del piano intermedio di sostanze sottili (malakut). Il piccolo manipolo degli ‘unitaristi’ è stato necessariamente sin-cretista (come Scelsi e Zolla), e il giudizio del mondo, nel caso almeno di Zolla che mi è molto noto, è stato ostracismo, pollice verso, condanna. Invece le scienze fisiche – le uniche OGGI davvero esoteriche – accanto a certa musicologia molto avanzata […] – esplorano l’unità originaria, la nota sola, ossia il caos donde la cosmizzazione con tutto quel che è seguito. Ricordo che da giovane mi concentrai sull’abisso che separa l’u-topia (persiano na koja abad = ‘non luogo’) dall’armonia intesa alla maniera taoista. Non conoscendo la musica, mi sono fermata”.

Elémire Zolla e Giacinto Scelsi

Più volte Grazia mi ribadì di non sapere di musica… e comunque di preferirle il silenzio. Grazia era dedita a scritture silenziose: “Ho il vantaggio di vivere in un borgo tranquillo che mi permette di dedicarmi a tutto ciò cui tengo” (29 aprile 2016). A Montepulciano, le facemmo visita nel settembre del 2021 durante un’incursione in Italia, già con il pensiero di abbandonare definitivamente la Germania. Grazia, con la grazia che era tutta sua, ci guidò tra le aure della casa leggendaria dove visse insieme a Zolla negli ultimi anni.

Fui sempre colpito dalla limpidezza e acutezza del suo stile di scrittura. Una scrittura che sgorgava dall’interno, da profondi studi e da un continuo lavorio metafisico sulla forma compiuto tutto nell’interiorità. Scrittura “cantabile”, quella di Grazia – disse Zolla, che pazientemente emerse e “che ora si leva chiara e vibratile, affiorando dalla lunga permanenza in India, dallo studio della civiltà cinese e giapponese”1. Il suo viaggio di pensiero è stato liminale, tutto tra Occidente e Oriente. Grazia fu orientalista, si abbeverò alle fonti asiatiche per capire ed esperire modalità altre dell’estetica, ovvero della percezione e della sensazione.

Scrivendo, da scrittrice, Grazia studiava il manas, la mente come la intendevano gli uomini vedici (che poi in latino sarà mens), scandagliando il funzionamento stesso o, meglio ancora, la natura della mente. Grazia era di una lucidità estrema. Prestava attenzione ai dettagli, se ne valeva la pena, alle più piccole cose e agli esseri più fragili: vi sono lettere di Grazia scritte per un neonato o per una cagnetta. Il suo stile di scrittura, financo in una semplice email per dare una veloce replica, non era mai sciatto, ma sempre curato, e non per mera formalità. Ogni sua email aveva una sua individualità poetica e di pensiero. E, cosa che mi impressionava non poco, dava sempre un titolo icastico alla sua email, anche quando era una ‘risposta’ o ‘risposta a una risposta’: il titolo era ogni volta nuovo e si riferiva spesso a ciò che leggeva nella missiva – o tra le righe – del suo corrispondente.

Grazia era assai disciplinata, sebbene “non molto ordinata”, come lei stessa una volta mi confessò (la vita è “caos vitale”…). Grazia era, meditativamente, in continuo movimento – e aveva la dote mercuriale di mettere spiriti affini in contatto tra di loro.

Monachòs, dice giustamente Silvia Ronchey. Sì, Grazia era appassionata e fredda, austera e fraterna, energica e delicata, riservata e socievole. Aveva qualcosa del monaco e del guerriero, in senso buddhista. E si prodigava sempre, non si risparmiava mai. Una volta spiegò che in sanscrito ‘fede’ si dice ‘shradda’, che è l’‘energia vitale’ che si investe in qualcosa, non il semplice ‘credere’ in ciò che ci viene raccontato. ʻAver fedeʼ significa aderire al presente al di là delle narrazioni, essere tutt’uno con le forze dell’adesso. Fede è fiducia innata nella vita, Urvertrauen. Ma ‘fede’, insegna Zolla, è anche capacità di autoallucinarsi e di sostanziar la percezione. Grazia sapeva, come David Bohm, che “quando un pensiero è saldamente concepito e correttamente esplicitato fuori dalla presa dell’io, pensieri e eventi entrano in simbiosi creativa. […] quando la presa avida dell’io s’allenta, eventi di simbiosi creativa si verificano ininterrottamente”2.

Negli ultimi anni Grazia fu sempre più vicina agli scienziati contemporanei: Paolo Zellini, Fritjof Capra, Pier Luigi Luisi, Carlo Rovelli, Federico Faggin e altri. Riteneva che fossero loro i veri mistici contemporanei. Grazia cercava un’altra visione delle ‘cose come sono’ condivisibile da tutti con mente aperta. Il 17 luglio 2017 mi scriveva: “Io vedo Tempo e Spazio come categorie gemelle: si possono annullare o espandere a seconda del livello di sottigliezza con cui vengono pensate e sentite, senza mai dimenticare che la luce è la MENTE: lì c’è tutto, il contrario di tutto e il ‘tra’: l’interstizio, la cosiddetta ‘via di mezzo’ secondo Nagarjuna, dove regna il Grande Silenzio meditativo che forse coincide con la musica cosmica su cui tu indaghi e ragioni”. Il Grande Silenzio di Nagarjuna come ‘musica delle sfere’. A questo proposito Roberto Assagioli: “La grande armonia delle sfere celesti è anche in te: fai silenzio, ascolta; la udrai salire sommessa e potente dalle misteriose profondità del tuo essere”3… Spesso è proprio la musica a farci meglio assaporare il silenzio. “There is no thing such as silence”, il silenzio non esiste, ci insegna John Cage in Silence, poiché qualcosa sempre accade: “something always happens”… Il silenzio è piuttosto uno stato della mente: empty mind, il fine ultimo della musica e il presupposto di ogni creazione. Mentre Francisco López, un po’ in polemica con Cage, dice che è un’ovvietà affermare l’inesistenza fisica del silenzio. Però il silenzio esiste altrove: l’unico luogo in cui il silenzio esiste è forse proprio la musica. Come non ricordarsi delle pause di Bruckner, del ‘tönendes Schweigen’ di Wagner o ancora dei silenzi di Bellini e di Nono, di Takemitsu e di tanti altri silenzi… Il suono può creare il silenzio, farlo assaporare più a fondo, ed esso stesso essere intriso di silenzio. (Morton Feldman docet). A Grazia forse sarebbe piaciuta la musica di Éliane Radigue, una creatrice dalla sensibilità e dall’eleganza (buddhista) per certi versi affine alla sua…

Monastero di Hajravank sul lago di Sevan (Armenia)

Gli raccontavamo spesso dell’Armenia, delle sue montagne e dei monasteri. All’inizio d’ottobre 2016 le scrivevo del rito armeno, della sua forza auratica incorrotta, non da ultimo grazie alla cura del repertorio degli antichi canti liturgici (come Marius Schneider insegnava: le cerimonie traggono la loro efficacia dalla musica), e Grazia commentò: “Nel cerchio del proprio destino ci sono risonanze che non possono essere partecipate a parole. Personalmente sento vicinanze non spiegabili esplicitamente coi mondi buddhisti, e ne ho prove negli interstizi di circostanze minime, come quando in Vietnam mi capitò di affacciarmi in un luogo in cui delle anziane donne erano assorte in preghiera. Loro ricambiarono il mio sguardo giungendo le mani come per esprimere una anagnorisis in quell’attimo” (7 ottobre 2016).

Una volta, a voce, le spiegammo come usano gli armeni dire ‘buongiorno’. Grazia volle ricordarlo in uno scritto, riempiendoci di gioia: “C’è una linea di demarcazione dello spirituale? La domanda contiene un’insidia perché il solo dire ‘spirituale’ isola questo piano da tutto quanto si ritiene ‘non’ tale, come se al confine tra i mondi ‘spirituale’ e ‘materiale’ ci fosse un doganiere, pronto ad alzare o abbassare la sbarra a seconda dei casi. Ma esiste un criterio di discrimine che sia attendibile sotto ogni cielo, dentro ogni cuore? Qualcuno, interrogato in proposito, ha fatto zampillare una bella metafora: spirituali (pneumatikói) sarebbero i ‘raccoglitori di scintille’ o forse, mi verrebbe di dire, coloro che sanno suscitarle nel cuore, il loro e quello altrui. Le scintille sprizzano luce, e se la spiritualità consistesse in luce, la presenza o l’assenza di luce interiore segnerebbe la sbarra, un discrimine vidimato in pieno dalla formula armena di saluto tradizionale [per dire ‘buongiorno’]. A chi s’incontra per via, invece che ‘Salve!’, si dice: Barì Lùis (Buona Luce!), prima di tirare dritto”4.

1 Elèmire Zolla / Doriano Fasoli, Un destino itinerante. Conversazioni tra Occidente e Oriente, Marsilio: Venezia 1995, p. 40. 

2 Grazia Marchianò, Esterno-interno, bíos e zoè nella percezione di una mente unificata, in: estetica. studi e ricerche”, a cura di Raffaele Milani, Fascicolo 2/2016, luglio-dicembre, Il Mulino: Bologna 2016, p. 236.

3 Cit. nella biografia di Assagioli scritta da Paola Giovetti, Edizioni Mediterranee: Roma 1995, p. 123.

4 Grazia Marchianò, Considerazioni sul sacro nella prospettiva di una mente unificata, in: Schede Medievali. Rassegna dell’Officina di studi medievali, vol. 53, gennaio-dicembre 2015, p. 259.

Leopoldo Siano, filosofo della musica e azionista sonoro, ideatore del Theatrum Phonosophicum, già docente di Musicologia presso l’Università di Colonia


PER GRAZIA RICEVUTA

MUSICA, LUCE, ARMONIA per Grazia Marchianò

di Nicola Cisternino

Che il Passaggio di Grazia Marchianò nel Bardo sia avvenuto sotto il segno e l’immagine del suo nobile volto, diffuso per i vicoli di Montepulciano, per quello che era annunciato come un evento di cui lei era molto felice (e ce ne aveva scritto) dal titolo Musica, Luce, Armonia, un nuovo dialogo col fraterno Massimo Cacciari nell’ambito del Festival di Pasqua nella cittadina eletta a dimora con l’amato Elémire, è una circostanza che rimanda a quella scia di Aure segrete per le quali forse bisogna scomodare l’evento sincronico junghiano, e non solo. I carabinieri hanno dovuto abbattere una porta per ‘ritrovare’ il corpo minuto di Grazia, distaccatosi da chissà quando: ore, giorni, settimane? La circostanza che umanamente ha scosso tutti i numerosi e legatissimi suoi amici, oltre al clamore che la notizia ha riscosso nella comunità culturale del nostro paese, sembra appartenere ad un disegno sospeso e sfumato che sembrerebbe allestito dalla mente più fine di Maya per una discepola preziosa in vita ma anche in morte, per tutto ciò che in vita ha esercitato la sua instancabile e lucida opera dedita al risveglio di una lucida coscienza che in Occidente sembra sepolta e rivoltata in un vortice bituminoso, perduta nella nebbia più fitta e piegata, sofferente, su se stessa.   

Massimo Cacciari e Grazia Marchianò

“Il samādi – scriveva Marchianò – accade dentro di me, pervadendo lucidamente mente, sensi, coscienza e la coscienza di essere coscienti ossia la consapevolezza”.

Grazia ha tessuto in vita un’opera-tela per mezzo del continuo svuotamento kenotico e di strenua appartenenza al numinoso, seguendo alla lettera, con la luce e la leggerezza che le era dato da una mente gentile quanto affilata e perseverante nell’operare in scia delle Tre Vie indicate nella Bhagavadgita: Azione, Devozione e Conoscenza

L’ Azione incessante e vitale, col garbo e la gentilezza oltre che generosa (da cui siamo stati pienamente avvolti) che all’esterno ne facevano una figura quasi irraggiungibile, ‘uscita dal mondo’ per agire nel mondo; della sua instancabile ricerca e rielaborazione ‘perenne’ di una filosofia dell’azione coperta da una meravigliosa e meravigliata curiosità intellettuale, caratterizzata da una determinazione compassionevole quanto ‘caustica’ nel suo sguardo sulla realtà ‘perduta’ nel caos della quotidianità. L’ Agire come metodo e dinamica mentale, che dà forma e trasforma l’immagine della realtà dall’interno, da quel bagliore della ‘coscienza di essere coscienti’, esercitata a rendere trasparente, con la naturalezza della sua scrittura sorgiva e cesellante, i mondi del logos. 

La Devozione come azione devica sull’intera opera di Elémire, il battito d’ali dell’angelo pieno di Grazia, su un patrimonio all’apparenza solo intellettuale, ma soprattutto umano, antropologico e mistico (quello di Elémire ma anche quello di suo padre Giuseppe, pittore) qualcosa di fenomenologicamente molto raro nella storia umana recente, in cui un intreccio simbiotico fra due menti, quella di Grazia Marchianò ed Elémire Zolla, nella loro tessitura perenne hanno dato vita a quella Mysterium coniunctionis junghiana profonda in cui ‘l’uno più uno non fa due ma solo un UNO più grande’ (Tarkovskij). 

Grazia Marchianò e Elémire Zolla

La Conoscenza come terza parte della Via bhagavadgitica in quanto strumento affilato della consapevolezza (‘coscienza di essere coscienti’) e del risveglio interiore, iconicamente aperto all’iconostasi florenskijana. Che la porta che i militi dell’Arma hanno dovuto abbattere quel 12 Aprile in vicolo dell’Unione (sic!) non fosse che uno strano gioco e messaggio della Grazia ricevuta?

“Nella sua deliberata lontananza da un’esposizione accademica, Le tre vie punta un faro diretto sulle modalità del risveglio interiore, nel groviglio di una tradizione qual è l’indiana che ha scrutato la natura umana da dentro e dall’alto, protesa irresistibilmente a un ‘oltre’ in cui il limite e l’illimitato, l’umano e il sovrumano si compenetrano nello sforzo titanico di spremere all’estremo le risorse della conoscenza razionale (jñāna), della devozione ardente e della fede (bhakti), e del trascinamento erotico su cui s’imperniano in toni ora allusivi ora espliciti i Tantra indù e buddhisti”. (Grazia Marchianò, Introduzione a Elémire Zolla, Le Tre vie soluzioni sovraumane in terra indiana, Ed. Marsilio 2019, p. 9)

Nicola Cisternino, compositore e artista, già docente di Arti e Musiche Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia  


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